Il caso e la necessità – considerazioni del Presidente ANVAz sul tema del VA

Il caso e la necessità – considerazioni del Presidente ANVAz sul tema del VA

Il caso e la necessità

Il titolo di questo documento fa riferimento ad un libro di Jacques Monod che fece molto discutere per le sue teorie sulle basi biologiche della mutazione ( caso) e selezione ( necessità ).

In effetti l’accostamento ad un trattato di un premio Nobel per la Medicina della semplice evoluzione di una professione può sembrare azzardato, ma dopo tante riflessioni, discussioni, articoli e documenti, restano più comprensibili le complesse tesi riportate nello scritto di Monod che la vicenda del Veterinario Aziendale. In questo scritto spero di contribuire a fare chiarezza, a me stesso per primo.

Il punto di partenza di questa riflessione è la serie di incontri al MinSal sul decreto istitutivo del VA a cui ho partecipato su mandato della FNOVI, come credo sia noto.

Senza soffermarmi ulteriormente su informazioni che ormai sono di dominio pubblico, tuttavia vorrei ribadire l’esito finale di quella serie di incontri in cui il Decreto è naufragato davanti alla contrarietà della Coldiretti. Le obiezioni riguardavano la preoccupazione che ci fosse un aggravio di costi per gli allevatori e che ci potesse essere una discriminante tra gli allevatori che si dotassero o meno di VA per l’accesso ai fondi dei vari Psr. Tuttavia tutte le obiezioni venivano superate nell’ultima stesura di bozza di Decreto del settembre 2014, quando si definiva che il Veterinario Aziendale potesse essere anche un convenzionato con un’Associazione di rilevanza Nazionale, ovvero con loro.

Alla fine del 2014, al rinnovo dei Consigli degli Ordini Provinciali, dopo due mandati da Presidente, ho deciso di lasciare spazio ad altri colleghi e sono uscito dall’Ordine. Confesso pertanto di non avere la certezza se ulteriori passi siano stati fatti o meno, ma al momento la situazione “decreto istitutivo del VA“ sembra cristallizzata al settembre 2014.

Nel frattempo sono successe diverse cose che hanno riguardato il settore delle produzioni zootecniche e coinvolto ed impegnato la professione veterinaria, soprattutto libero professionale. Gli argomenti sono diversi e complessi. Devo aggiungere che molti sono già stati affrontati, ma in modo che trovo frammentario e senza avere una visione d’insieme. In effetti può sembrare anche difficile trovare un filo comune a tutte le questioni e per questo ritengo di analizzare singolarmente le materie della mia riflessione, lasciando alle conclusioni lo spazio della sintesi e proposte.

Prezzo del latte e della carne: è chiaro che le cause della caduta dei prezzi sono molteplici e non ho la presunzione di avere tutti gli strumenti per fare considerazioni originali e risolutive in merito. Tuttavia è interessante esaminare almeno alcune delle ricadute che questo ha avuto sulla nostra professione, a partire dalla perdita di reddito, a volte drammatica, da parte di molti colleghi. La crisi del prezzo, in molti casi ha inoltre condizionato e condiziona tuttora le scelte di gestione sanitaria delle aziende per carenza di risorse. La nota positiva in tutta questa vicenda però c’è ed è rappresentata dalla solidarietà tra Veterinari ed Allevatori, a volte anche da illuminate filiere che,  consapevoli di essere sulla stessa barca, hanno cominciato a confrontarsi sulle soluzioni da adottare in modo condiviso. Le prime iniziative che ho trovato rilevanti riguardano la maggiore attenzione rivolta al consumatore, alle sue aspettative rispetto alle produzioni zootecniche. Difatti in diverse Regioni, tra allevatori, veterinari e filiere stanno maturando accordi su prospettive di mercato che possono essere aperte dallo sviluppo di sistemi di valutazione e certificazione, soprattutto relative al benessere animale. Questo atteggiamento è sicuramente virtuoso per il rispetto delle norme sanitarie , ma anche per le indicazioni e le richieste delle filiere e grande distribuzione, come abbiamo avuto modo di verificare anche nella tavola rotonda organizzata dalla nostra Associazione all’ultima Fiera di Cremona. Finalmente ci si è accorti che le norme europee del “Pacchetto Igiene“ stabiliscono non solo le regole della produzione primaria, ma anche i criteri della competizione per conquistare il gradimento del consumatore europeo. Credo che stia crescendo la consapevolezza che il latte non sia tutto ugualmente bianco e la carne ugualmente rossa, ma che dietro esistono modalità di produzione talmente diverse che hanno bisogno di evidenza (questo dipende da noi) e conseguente riconoscimento economico commisurato. Forse, nel prossimo futuro sarebbe bene che questa consapevolezza fosse quanto più diffusa ed utilizzata. Sicuramente potrebbe riconsegnare margini di guadagno adeguati agli allevatori e di conseguenza ai veterinari. Soprattutto in un Paese che fa della qualità il suo marchio di fabbrica.

Dobbiamo riconoscere che il concetto di qualità, negli anni precedenti, sia stato declinato con una certa indulgenza e che ci siano molti passi in avanti da fare in questa direzione, anche per la nostra professione. Tuttavia sappiamo che produrre derrate alimentari di qualità richiede investimenti e questo ci porta ad incrociare il secondo dei temi che vorrei affrontare

 

Piani di sviluppo rurale 2014-2020

I nuovi piani di sviluppo rurale stanno finalmente prendendo corpo nelle varie Regioni e come al solito, aldilà di qualche iniziativa di colleghi in alcune realtà (i cui esiti sono perlomeno incerti), la Veterinaria è tuttora un elemento accessorio in un sistema di finanziamenti gestiti completamente dagli Assessorati all’Agricoltura. Come si incrocia questo con il punto che prima ho illustrato?

Cominciamo a dire che le misure che possono interessare la nostra attività e su cui molte Regioni sono già avanti con la definizione, riguardano il benessere animale. Nella Regione Lazio si parla di finanziamenti di 270 Euro ad UBA all’ anno per i prossimi cinque anni. Tuttavia i parametri di valutazione del BA cui le aziende sono sottoposte fanno riferimento a schemi elaborati dall’Assessorato all’Agricoltura che quindi promuove la misura, ne fissa le regole e si occupa della valutazione per l’eventuale erogazione di fondi. I Veterinari Aziendali (qui fanno comodo e vengono perciò coinvolti) sono stati informati a cose fatte e ovviamente, a prescindere dai giudizi tecnici, siamo interessati a far aderire i nostri clienti a tale misura.

Del resto, anche negli anni precedenti, le valutazioni sul rispetto o meno della “Condizionalità” ai fini dei premi PAC sono state gestite da Agea o chi altri. Mi sbaglio? Vorrei inoltre ricordare che questi finanziamenti, nella stessa avanzata Lombardia, permettono la sopravvivenza di circa il 30% delle aziende di vacche da latte.

La mia riflessione a questo punto, riguarda la definizione di Benessere Animale, cosa si intenda, se nel mondo allevatori e veterinario si intenda la stessa cosa o meno. Chi se ne occupa in allevamento, chi ha quali competenze. La realtà odierna è che esiste un Centro di Referenza Nazionale per il BA, ovvero l’IZS di Brescia, la cui impostazione scientifica non metto assolutamente in discussione; esiste un Servizio Veterinario Pubblico che ovviamente fa riferimento all’Istituzione ((indicata peraltro dal MinSal) ed esistono gli allevamenti che per accedere ai fondi sul BA (che sono essenziali per mandare avanti la baracca), devono rispettare le regole degli Assessorati all’Agricoltura.

Io, come Veterinario Aziendale, sono francamente disorientato in tutta questa situazione. Certo, se qualche filiera fosse interessata a certificare i propri conferenti non avrei dubbi sul modello da seguire. Ma se sugli stessi territori, le aziende potessero adeguarsi agli standard solo utilizzando fondi del Psr?

So di essere controcorrente, ma credo per prima cosa che il Benessere Animale vada intesa come materia multidisciplinare. Se la Veterinaria non supera la convinzione che sia materia di nostra esclusiva competenza e non apre le porte ad un confronto con il mondo dell’Agricoltura, magari anche solo per affermare il proprio sistema, la nostra professione continuerà a viaggiare su un binario parallelo a quello degli allevatori. Continuiamo a reiterare gli errori che hanno portato al blocco della bozza di decreto istitutivo.

La domanda che mi faccio è quali sono gli interessi oggi della Veterinaria? Sono tutti quelli appiattiti sulla medicina preventiva o come sta scritto nei compiti della Veterinaria Pubblica, anche quelli di salvaguardare e promuovere gli allevamenti e le produzioni zootecniche?

Certo, la valutazione degli allevamenti non si basa esclusivamente sugli aspetti del BA, ma anche e direi soprattutto sugli aspetti sanitari. Anche qui vale la pena di fare qualche considerazione

Malattie infettive

Ho già accennato alle difficoltà di molti di noi nel gestire adeguatamente alcune patologie infettive negli allevamenti. Le poche risorse determinano scelte molto selettive sulle priorità da affrontare. Le situazioni sono molto differenziate tra i diversi allevamenti e ogni veterinario è impegnato a fare il proprio meglio per le mandrie che gestisce. Del resto non voglio fare un trattato, ma fare alcune riflessioni almeno su una malattia infettiva in particolare, che trovo per molti aspetti esemplare dal punto di vista della gestione.

Ho partecipato ultimamente ad un’ interessante tavola rotonda SIVAR a Roma sul tema della Blue Tongue e ne sono uscito con le stesse domande con le quali ero entrato. Il destinatario delle domande, nel momento in cui erano previste, era andato via e le curiosità e riflessioni sono rimaste tali. Evidentemente non per colpa degli organizzatori.

La malattia è presente nel Lazio da circa 15 anni e nella Regione Sardegna ancora da prima. Negli anni si sono succeduti diversi sierotipi e dopo la famosa campagna di vaccinazione con virus vivo credo che fosse inevitabile. Abbiamo messo a disposizione migliaia di capi ad un virus a RNA altamente ricombinante, ma questa è un’altra questione. Quello che mi interessa è portare un punto di vista su quello che avviene oggi, alla luce di quello che è stato osservato sull’andamento della patologia, sulle (in)decisioni relative alle vaccinazioni da effettuare e sulle possibilità di movimentare animali dalle zone di restrizione. Le osservazioni che riguardano l’andamento della patologia e la prevalenza riportate dal laboratorio di Virologia dell’IZS di Lazio e Toscana parlano di un 30% di prevalenza e di un 3,4% di mortalità nel corso del 2014 quando si è verificata una vera epidemia, nel senso che quasi tutti i territori erano stati colpiti con un gran numero di focolai. Il sierotipo responsabile era il sierotipo 1. In alcuni allevamenti ovini (circa il 20%), nel corso del 2015, si è proceduto alla vaccinazione per quel sierotipo su base volontaria ed è stata riscontrata una diminuzione, quasi assenza di incidenza di patologie, nonostante l’accertamento di circolazione virale tanto negli allevamenti vaccinati che no. Nel frattempo, in tempi molto recenti, si affaccia il sierotipo 4 ed è segnalata una siero conversione anche nella nostra Regione.

In questi anni si è osservato l’aumento del numero dei vettori del virus che determina il rischio di infezione sia di notte che di giorno, la sua comparsa ad altitudini che non erano immaginabili e persino l’isolamento (non in Italia) di due sierotipi, credo il 26 e 27, che non hanno neanche più bisogno dell’agente vettore (IZS di Teramo, Centro di Referenza Blue Tongue). Il numero di sierotipi isolati in Europa e in Africa (dalla quale non arrivano solo i poveri immigrati, ma anche i venti del deserto con i vettori e gli animali vivi) ci pone di fronte un virus con grandi capacità di mutazione, di ricombinazione che dà l’impressione che possiamo solo rincorrerlo, difficilmente anticiparlo. Cosa fare? So benissimo di essere un semplice veterinario di campagna, ma con questo tema dobbiamo confrontarci continuamente sia veterinari che lavorano nelle zone infette, sia quelli dei territori che hanno bisogno di animali per l’ingrasso o la rimonta, ecc. e credo sia un dovere esprimere un parere in merito. Soprattutto in una situazione dove non sono molto chiare le misure che si vogliono adottare o forse mancano le risorse per adottarle. Il risultato non cambia.

Per prima cosa, forse sarebbe il caso di non definire più la Blue Tongue una malattia esotica, ma endemica. Forse, per le caratteristiche del virus, ma anche per la provata resistenza immunitaria che gli animali acquisiscono nei confronti del sierotipo circolante, potremmo ritenere non particolarmente utile una vaccinazione a tappeto di tutti gli animali della zona infetta. Peraltro è stata segnalata circolazione virale anche nelle stalle vaccinate (IZS Lazio e Toscana).

Forse bisognerebbe evitare di vaccinare i greggi su base volontaria, ma magari in base ad una analisi del rischio. Credo che l’adozione di misure di controllo debba basarsi esclusivamente sulla valutazione epidemiologica e, a meno che non si tratti di una zoonosi,sull’impatto economico della patologia associata all’infezione. Per i dati riportati dall’Istituto di Virologia dell’IZS di Lazio e Toscana, i costi del risarcimento agli allevatori per i danni ricevuti nel 2014, l’anno peggiore, è stato inferiore al costo della vaccinazione del 20% dei capi dei territori interessati.

Fatte tutte queste considerazioni, perché non limitare la vaccinazione agli animali interessati alla movimentazione dalle zone di restrizione, come fa per es. la Francia con il sierotipo 8, verso i nostri territori nazionali?

Altre modalità vaccinali che possano interessare interi allevamenti, a mio parere, forse varrebbe la pena di prenderle in considerazione per sierotipi che sono alle porte, di cui non conosciamo la patogenicità (concetto che sembra ormai fuori moda), magari per i territori a rischio di introduzione della nuova infezione, a prescindere dalla suddivisione per Province o Regioni: sappiamo che la continuità territoriale è un fattore di rischio maggiore dell’essere conterranei. Il virus e i suoi vettori non conoscono la geografia.

Spero di non aver irritato la suscettibilità di qualcuno in queste mie riflessioni, ma credo che i Veterinari che lavorano nelle aziende zootecniche dove riflettono tutte le decisioni sanitarie, abbiano il dovere prima del diritto di esprimere un proprio parere su temi così incalzanti. Personalmente non posso rassegnarmi ad essere un semplice manovale della Veterinaria. Spero anche di aver risposto al mio collega ed amico Mino Tolasi che mi chiese, nel corso della tavola rotonda a cui facevo riferimento, il perché non avessi fatto un intervento.

A chiudere l’elenco delle mie riflessioni è l’ordinanza del MinSal che prevede l’adozione del

Mod. 4 informatizzato

L’ ordinanza in questione prevedeva che dal 1 gennaio 2016 venisse utilizzato il mod.4 informatizzato. Tale provvedimento ha subito una proroga di sei mesi, il che sposta in avanti l’ingresso di questa nuova modalità, ma niente dal punto di vista sostanziale, anzi. Per certi aspetti sembra tornare indietro nel tempo, quando il mod.4 modificato che prevedeva l’inserimento del nominativo ed il recapito del Veterinario Aziendale in calce alle dichiarazioni sullo stato sanitario degli animali da parte dell’allevatore, innescò tutta la vicenda di cui ancora parliamo.

In effetti, il Decreto Ministeriale che aveva modificato il mod.4 faceva  pari con la richiesta UE al Ministero della Salute del nostro Paese perché si definissero il ruolo e competenze di questa figura professionale. Questo per completare la rete di epidemio sorveglianza che la mancanza del VA rendeva inefficiente. E come nel gioco dell’oca ci troviamo al punto di partenza. La differenza, peraltro tra il mod.4 modificato ed il modello informatizzato sta nell’obbligatorietà del “campo” relativo al VA, rendendo non licenziabile il certificato che non sia completamente compilato. Tenute ferme tutte le osservazioni fatte a suo tempo e che in parte sono contenute nel documento fondativo del VA FNOVI, c’è forse da aggiungere qualcosa. La prima riguarda la domanda su chi abbia titolo per essere definito VA. Il mio punto di vista, anche nel caso che l’allevatore sia un cliente abituale, è che sia impossibile chiamare VA  un Veterinario quando non ne siano chiaramente  definite le attività svolte. Possiamo ammettere che lo sia solo ed esclusivamente il veterinario responsabile del Manuale di Corrette Prassi dove sono definite le strutture e l’insieme delle procedure adottate. Se vogliamo portare avanti il progetto del VA e rendere applicabile la norma dobbiamo immaginare una soluzione capace di connotare questa figura in modo semplice, efficace e coerente con quanto scritto nella bozza di Decreto. Magari prevediamo anche la frequenza del Corso di Formazione. Credo che sia un nodo da dibattere e risolvere a livello FNOVI in tempi anche rapidi, in modo che tutti gli Ordini possano fornire una risposta univoca ai propri iscritti in tempi utili. Il 1 luglio non è poi così lontano! Ho personalmente già ricevuto richieste in tal senso da parte di colleghi, ma sono consapevole che dare risposta può nascondere insidie. La possibilità che ogni territorio possa interpretarla e immaginare una soluzione “fai da te” sarebbe certamente contraria all’idea che il VA debba essere una figura istituzionalmente riconosciuta. Credo che ci sia il bisogno che FNOVI riprenda la centralità su questo tema, elaborando risposte puntuali e condivise, secondo il modello utilizzato in passato ed al quale abbiamo collaborato. Ho sempre pensato che il confronto sia un bene per la Veterinaria e niente mi farà cambiare idea.

 

Conclusioni

Gli argomenti trattati avrebbero bisogno di migliore approfondimento e dovrebbero, insieme ad altri, essere il centro della discussione nella nostra Categoria. Mi scuso per le omissioni, erano inevitabili vista la natura stessa di uno scritto ed i limiti dell’autore. Penso però che la Veterinaria debba trovare maggiori occasioni per discutere e confrontarsi su questi temi e ritrovare lo slancio per portare a compimento il progetto del Veterinario Aziendale. Ho raccontato quello che è successo, almeno una parte, in questo anno e mezzo dall’insabbiamento del Decreto Istitutivo del Veterinario Aziendale e tutto conferma la necessità di questa figura professionale. Se ne sono resi conto tutti i protagonisti, persino quelli che hanno impedito l’avvio legislativo del Decreto. Siamo in ritardo, lo siamo come Paese e la mia amara riflessione parte dalla semplice constatazione che tutti guardano al proprio interesse immediato. A non perdere rendite di posizione acquisite spesso senza meriti. Tutto quello che modernizza fa paura, fa sentire inadeguati e perciò va contrastato con tutti i mezzi. Presto altre cose cambieranno e la nostra classe dirigente dovrebbe imparare a fare i conti più con il futuro che con il passato. Il Governo ha già annunciato il passaggio del Ministero da Politiche Agricole a Ministero dell’AgroAlimentare e già molti colleghi pubblici mettono le mani avanti sull’indisponibilità ad essere dirottati su quel fronte. Probabilmente avranno ragione loro, ma forse questa possibilità può essere vista anche come una opportunità. La nostra natura è sempre stata a cavallo tra la Sanità e l’Agricoltura e non è certo di oggi la discussione di dove collocare la Veterinaria. Personalmente penso che dovremmo avere lo stesso spazio nei due ambiti. Forse potremmo finalmente aspirare ad un avere un ampliamento delle piante organiche che nelle ASL sono ormai ridotte ai minimi termini e popolate da colleghi di età media che richiede discrezione.

Concludo con una proposta per la FNOVI, per il nostro Presidente Penocchio. Credo che l’esperienza del tavolo FNOVI sul Veterinario Aziendale sia stato un modello di confronto e di sintesi tra vari territori e sensibilità. Per chi ha partecipato a quella esperienza è stata talmente importante ed ha arricchito così tanto il bagaglio professionale che ha deciso di continuarla con l’Associazione Nazionale Veterinari Aziendali (ANVAz). La prima cosa che chiedo è la fine di questo atteggiamento di omissione della nostra esistenza. Siamo tutti abbastanza intelligenti da capirci senza bisogno di ulteriori passaggi inutilmente polemici. Abbiamo fondato la nostra Associazione come spirito di servizio alla nostra professione, dove venissero messe sullo stesso piano le esperienze di tutti i veterinari, di tutti i territori e filiere. Dove trovassero spazio e legittimità le idee a prescindere da chi le esprimesse e contasse il lavoro anche di chi non è impegnato in territori avanzati dal punto di vista zootecnico. Con il tempo abbiamo verificato che i Veterinari sono deboli in tutti i territori, anche se per motivi opposti. Nei territori più importanti perché il fattore economico sembra prevalente fino ad impegnare il collega in scelte non del tutto libere. In quelle più disagiate le dimensioni più ridotte degli allevamenti, le diverse condizioni politiche, ecc., rendono impari il confronto con le varie Istituzioni del mondo agricolo. In tutti c’è comunque il bisogno di confrontarsi, di trovare una strada comune per riconquistare il giusto peso della nostra professione. Non abbiamo mai pensato di creare un’altra parrocchia, specie perché le parrocchie stanno ferme nelle loro sedi e noi pensiamo che il futuro della nostra professione non possa rinunciare al contributo di nessuno.

Chiedo alla FNOVI, a te Gaetano di dare vita ad una qualche struttura, che sia un tavolo, un gruppo di lavoro od una semplice commissione che all’interno di FNOVI si occupi di questi temi e che si impegni a portare a termine il Decreto Istitutivo. Tra i Presidenti degli Ordini troverai sicuramente colleghi appassionati. Per quanto ci riguarda, nella nostra Associazione troverai sempre persone a disposizione dell’interesse della Veterinaria. Quando sono state organizzate occasioni di confronto in questi anni, la Veterinaria ha sempre dimostrato grande impegno e condivisione su questioni di merito importanti. Senza dotarsi di strumenti adeguati è difficile analizzare e progettare e dovremmo rassegnarci ad un futuro governato esclusivamente DAL CASO E LA NECESSITÃ

 

 

Associazione Nazionale Veterinari Aziendale (ANVAz)

                           Il Presidente

                   Giovanni Turriziani

Il caso e la necessità